Lino Capra Vaccina sospende la realtà
Il ritorno del compositore milanese è un monito a rallentare i ritmi di un presente che scappa da se stesso
Con un curriculum che recita quasi cinquant’anni di esperienza, tra il progetto Aktuala insieme a Walter Maioli ed il super collettivo Telaio Magnetico (con Franco Battiato e Juri Camisasca, tra gli altri) qualche anno dopo, Lino Capra Vaccina è un personaggio che avrebbe bisogno di poche presentazioni.
Il suo debutto discografico (da solista) nel 1978, Antico Adagio, è stato definito «il cugino europeo di Music for 18 Musicians di Steve Reich»1, una composizione che aprì le porte al minimalismo sperimentale Italiano sulla fine degli anni Settanta, insieme ad altri capolavori come Prati Bagnati del Monte Analogo di Lovisoni & Messina o Motore Immobile di Giusto Pio. E su cui Four Tet ha dedicato, nelle liner notes dell’ultima ristampa, un pensiero piuttosto significativo: «ci sono dischi che ho trovato nella mia vita che quasi desideravo esistessero prima di sentirli».
Il compositore milanese è tornato con un un nuovo progetto che esalta le sue qualità da “poeta del silenzio”, pur mettendo con solita discrezione tasselli ancora interessanti all’evoluzione della sua mistica sonora: Sincretico Modale segna il suo ritorno dopo qualche anno tra concerti, live ed i soliti, infiniti stimoli artistici che una personalità come la sua cerca, attira e fa suoi. Senza soluzione di continuità, al costante servizio della curiosità.
Me lo ha raccontato in una chiacchierata in cui il tempo (e la cura, del tempo), è stato scenario fondamentale, come in tanti degli incredibili passaggi della sua carriera.
Dalla “seconda giovinezza” di Antico Adagio—ristampato in vinile a furor di popolo, nel 2014—e poi l’effettivo ritorno discografico con Arcaico Armonico, possiamo dire che la coda degli anni Dieci sia stata per te quasi un nuovo e fertile cammino (per quanto, tu in realtà non ti sia mai fermato). In che momento della tua vita artistica arriva Sincretico Modale?
In un momento molto intenso, sia a livello discografico che di live: negli ultimi anni ho avuto modo di suonare in giro per l’Italia oltre che per l’Europa, tra Londra, Barcellona, Berlino. Dal punto di vista artistico è quello ideale, credo sia un periodo in cui sento di poter alzare l’asticella, rendere la mia espressione musicale molto viva. Poco tempo fa ero in concerto a Copenaghen, sono rimasto stupito dalla reazione del pubblico e dalla loro conoscenza, rispetto al mio repertorio.
Credo che il dono più grande che la musica riesca a farmi sia migliorare me stesso, ma soprattutto, in qualche modo, migliorare chi ascolta. Sai, la vita sociale di oggi è fin troppo accelerazionista, nevrotica. Io sono da sempre della scuola di pensiero opposta. Se vuoi, per un rallentazionismo.
Che immagino favorisca anche le sfumature che ormai troppo spesso ci lasciamo scappare, dall’arte.
Sì, credo sia necessario viversi il presente, è una cosa che ci sfugge continuamente. Nella mia musica cerco in qualche modo la possibilità di fermare questo moto perpetuo, di sospendere questa fuga perenne dal presente.
Il concetto di sincretismo potremmo farlo partire dal synkeránnymi greco di “fusione”, “mescolo”, per arrivare a un termine che descrive più la conciliazione e la sintesi di stili e linguaggi artistici diversi, nell'atto creativo. In questo caso per te cosa rappresenta?
La ricostruzione dell’origine è esattamente quella. Appartiene al concetto filosofico che troviamo dalla civiltà ellenica fino agli egizi, ovvero quello di una congiunzione di parti che si integrano tra di loro. E, nello specifico di questo disco, danno vita a nuovi mondi sonori: si congiunge al concetto del metodo modale, integrato nella storia già dalle primissime apparizioni del canto gregoriano, poi della musica medievale, fino alla Rinascimentale e alle culture tradizionali in Africa e Asia. Da un lato c’è un’interpretazione filosofica, dall’altro quello musicale. Questa congiunzione diventa mistica sonora, che è ciò che mi interessa esprimere attraverso musica, linguaggio e ricerca.
A questo proposito, a livello sonoro sembra emergere una dichiarazione d’intenti con il pensiero di un Lino Capra Vaccina “inedito”, esplorato con progetti recenti come Perpetual Possibility, con il duo Untitled Noise. Per esempio, oltre il vibrafono e gli strumenti a percussione è protagonista il pianoforte, in diversi passaggi. E questo da anche una resa molto cinematica, ancora più astrale, del suono. Credi si possa dire di assistere ad un nuovo capitolo della tua sperimentazione?
Credo di sì, e mi fa molto piacere che ci siano delle particolarità che emergono chiaramente dall’ascolto dei brani, in questo senso. Il pianoforte è diventato molto importante anche nei miei show dal vivo, negli ultimi tempi: mi da modo di integrare idee e spazi ancora più profondamente. Sulla resa cinematica direi che deriva dalla mia grande passione per il grande schermo, le colonne sonore e la sua storia. È un’ispirazione che torna spessissimo.
Quello che rende maggiormente, dando questo effetto, direi che è l’applicazione di una spazialità molto esplicita. È una spazialità cercata, voluta durante le sessioni di registrazioni. E ti assicuro, non è una cosa facile: nonostante la tecnologia ci dia ormai grandissime possibilità, è necessario saperla indirizzare.
Nelle note di copertina ci sono commenti di Paul Roland, John Greaves, Michael Tanner e Max Marchini (che ha prodotto con te il disco). Non gente qualunque, insomma: cosa hanno aggiunto al racconto su questo tuo nuovo approdo?
Pare che Paul Roland sia stato folgorato “sulla via di Capra Vaccina” [ride]… John Greaves è un caro amico, abbiamo suonato spesso insieme e io ho suonato anche nel suo ultimo disco. Tutti hanno in comune una certa curiosità per la mia apertura verso nuovi mondi sonori, verso una percezione altra del sentire, il che mi fa ovviamente molto piacere, specie data la loro esperienza e conoscenza sul campo.
Quando dico “percezione altra” immagino una percezione del sentirsi sentire, a un’immersione totale nella musica. Questo lo trovo straordinario, è risultato di un processo che renderà impossibile un ascolto derivativo o associativo. Mi succede di frequente quando il pubblico viene a salutarmi dopo un concerto, confidando che qualcosa a livello di percezione si è trasformata: trovo sia il massimo che questo lavoro può darmi.
Qualcuno direbbe, a ragione, «alla faccia del minimalismo», se poi dentro c’è così tanto.
Assolutamente sì. Diciamo che il mio è sempre stato un percorso sperimentale, del minimalismo. Ma la cosa che più mi rende orgoglioso è che si percepisca l’intenzione di rimanere sempre molto attuale, nel suono. D’altronde il termine attuale non è stato affatto casuale, per la mia carriera.
Da Aktuala, ovviamente. E poi il leggendario Telaio Magnetico con Franco Battiato, Juri Camisasca, Mino Di Martino, Roberto Mazza e Terra Di Benedetto, l’Orchestra Filarmonica della Scala di Milano con Stockhausen e molto altro. Arrivato fin qui cosa giudichi fondamentale per stimolare ancora il tuo percorso?
Il mio campo d’azione musicale-compositivo è sempre stato quello della ricerca, come punto centrale. Insieme a questo ho fatto convivere una curiosità innata, che parte dalla musica e dall’esecuzione vera e propria fino ad espandersi alla filosofia, al pensiero più profondo, passando per la cinematografia e l’arte tutta. Questo atteggiamento mi ha permesso di essere sempre molto costante: non ho mai smesso di essere curioso e di avere questa posizione nei confronti del fare musica.
E sì, trovo che questo sia fondamentale. Perché mi fa alzare l’asticella in campo artistico, ma lo fa conseguentemente anche a livello interiore, di persona. Più di ogni cosa credo questo mi abbia permesso di navigare con il suono al di là dello spazio e del tempo, attraverso passato, presente e futuro, che considero dimensioni parallele. Sai, un po’ come l’eterno ritorno prospettato da Nietzsche.
Agganciandomi a questo, la musica contemporanea soffre un po’ dell’eterno recupero—e quindi, ritorno—del passato, oltre che della famosa accettazione per «la lenta cancellazione del futuro» di fisheriana affermazione. Qual è la tua opinione su questa nostalgia e contro-nostalgia cronica? Specie per quanto riguarda la musica elettronica e sperimentale, avendo tu vissuto dall’interno gli anni che ne hanno definito una concreta diffusione.
È un discorso piuttosto complesso, ma conosco bene i concetti di retromania e futuromania di Reynolds, se siamo su questo campo. E anzi, devo dire che li ho sempre visti molto presenti, già dagli anni Settanta. Specie la seconda: l’utopia, la scoperta del dopo erano la chiave salvifica, lo stimolo cruciale. Poi però ci si rendeva conto che il futuro, da solo, non avrebbe salvato niente.
Per fare un esempio concreto sul suono, credo nella musica tradizionale etnica ci sia qualcosa di ancestrale, di metafisico, che racchiude tutte e tre le dimensioni (passato, presente e futuro)—e che si traduce nello stesso motivo per cui le percepisco come parallele, come spiegavo prima. Questo manderebbe in tilt un po’ tutti i ragionamenti, insomma, su “cosa c’era prima”, “cosa c’è adesso”, “cosa ci sarà dopo”.
Forse, semplicemente, è tutto più decifrabile con la metafora della risacca marina: l’accumulo di elementi che provocano un aumento frenetico di pressione. In questo caso, gli elementi sono il peso del passato e la possibilità del futuro. La realtà però è un’altra, e cioè che a contare dovrebbe essere solo il presente. Che sta in mezzo, ed è l’attimo in cui si cela “il nostro essere che sfugge”.
A farci caso abbiamo citato involontariamente alcuni dei brani del disco, tra cui la Persistenza della Memoria e la Percezione dell'Essere. In mezzo, però, c’è anche Riflessi Lontani: alla luce di tutto questo, quali sono quelli che vedi sul tuo sentiero, da qui in avanti?
Sono molto contento di questo lavoro, mi ha ancora una volta rimesso in cammino, sul mio cammino. Per il futuro ho due collaborazioni pronte e di cui sono molto contento, vedranno la luce durante la prossima primavera ed estate.
Oltre a questo, ho registrato una prima parte per un nuovo progetto, che mi ha fatto rimetter mano su un paio di macchine elettroniche, diciamo così… “vintage”, ma che conosco molto bene, perché ai tempi, con Franco, le usavamo piuttosto spesso.
Direi che ci sto andando ancora cauto, però, specie perché con le macchine di oggi è diventato sempre più facile smettere di pensare: ti concentri su di loro, non più sulla composizione.
Ma la composizione è l’idea, la curiosità, il perno.
Senza di lei non vai da nessuna parte.
Sincretico Modale è uscito oggi su Dark Companion.
Se non metti L’Ultimo
Qui dentro ci sono cose e curiosità extra rispetto al topic della newsletter, a volte anche un po’ di fatti miei.
Oggi in versione consigli per gli acquisti.
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A questo Google Doc messo a disposizione da Resident Advisor c’è una folta lista di artisti ed etichette ucraine, con link ai rispettivi profili Bandcamp. In ottica Bandcamp Friday, che cade proprio oggi, è cosa ancora più buona e giusta.
(Bandcamp che intanto—nota a margine—è stata acquistata in questi giorni da Epic Games, accendendo un bel dibattito).
È tornato Huerco S.
Dopo ben sei anni da For Those Of You Who Have Never (And Also Those Who Have), tra vari EP e collaborazioni minori sciorinate qua e là, il producer statunitense Brian Leeds è tornato con Plonk, un album piuttosto indecifrabile con etichette o generi standard: c’è dentro ambient gassosa—citando la descrizione su Bandcamp—, c’è una decostruzione di derive hip-hop moderne che diventano noise, ci sono geometrie elettroniche funambole, a volta sedate e altre in versione proto-futuristica o proto-qualcosa-che-non-somiglia-a-nient-altro-di-già-sentito.
E c’è molto altro, in mezzo: «Plonk riflette il mesto bagliore di sodio delle città di notte, angoli di strada che si illuminano con dolorosi momenti di chiarezza che vorresti sparissero», dice la nota stampa.
Per me, comunque, è un grande sì. Lo puoi ascoltare qui o qui.
Go Greene
Di tutti gli artisti della celebre elettronica intelligente degli ultimi anni, il canadese Jacques Greene mi ha sempre dato sensazione di forte intermittenza: uscite a volte fin troppo patinate, altre con un istinto maggiormente UK e convinte, da quelle parti dove warehouse, ambient e r&b si mescolano bene.
Insomma, Fantasy (che è un EP e arriva dopo ANTH01, una raccolta di materiale inedito), nonostante duri la metà, da la sensazione di essere un capitolo più convincente rispetto a Dawn Chorus—a tutti gli effetti il primo album, datato 2019. Un lavoro che, per citare Pitchfork, «evocando Burial, sembra il tentativo di richiamare un ricordo sbiadito del rave, di catturare un’epifania sensoriale nel fugace gioco di breakdown e drop di basso».
A. Beta, Lino Capra Vaccina - Antico Adagio, Pitchfork, 2014.