3 ore, 6 minuti e 48 secondi non sono abbastanza per capire Arca
Di pop, vocabolari e impavidità
Partiamo da un presupposto: parlare di quattro (!) dischi in una botta sola è complicato già di suo. Se poi sono quattro dischi di Arca, il lavoro per tradurre un pensiero preciso in un di tot battute si triplica—anzi, quadruplica. Allora come il famoso salto della staccionata nella pubblicità di Olio Cuore, aggireremo direttamente il problema.
Ma ovviamente ne evidenziamo un altro, ‘cause that’s how we roll.
Quale problema? Vabè, “problema”. Forse meglio dire constatazione. Quella che nonostante la dilagante narrativa per cui Arca sia ormai “custode della musica pop del futuro”, è difficile poter considerare la sua musica veramente pop. E il motivo principale, non ce ne siamo ancora veramente accorti, è il modo in cui ne parliamo.
Che poi, è proprio difficile considerarla come qualsiasi cosa in particolare, specie se abbiamo fretta di farlo. Ed è un equivoco da cui dovremmo scappare proprio per capirla meglio, la sua musica.
Vaso di Pandora: aperto. Mi spiego.
L’unica (vera) traccia pop di Arca?
Questa convinzione ha sì, da un lato, sdoganato il lavoro di artisti contemporanei di una certa mentalità, quelli arrivati alle orecchie (e poi anche in studio) dei big dell’industria, perché dotati di un linguaggio troppo potente per non incuriosire.
Ma, ecco, ha anche decisamente peggiorato la ricerca di una “vera verità” (o verità vera, come direbbe Chicco Mentana), critica, della faccenda. Tra musica pop e futuro, musica elettronica, eccetera, quelle cose lì. Ne abbiamo sentito parlare, ne abbiamo parlato, ne parleremo.
Iniziata col primo capitolo nel Giugno del 2020 e conclusasi con altri quattro arrivati in strettissima successione a fine 2021, Kick fa un totale di cinque album, 59 brani, più di tre ore di musica.
Eppure, tutto sto mare magnum di eventi sembra sia stato liquidato con recensioni che ripetono allo sfinimento i soliti e stranoti concetti, veicolati con una capacità di spaziare sul tema simile a quella dell’annunciatrice di Canale 5 che presentava il programma della serata.
La domanda sorge spontanea: siamo sicuri di averci capito qualcosa, da tutto ‘sto discorso?
L’impavida cantante
Facciamo un passo indietro: sono il primo a credere che Arca a quell’idea di elettronica futura che cambia (e ispira) una serie di diktat anche nella musica pop ci appartiene, con meriti e ragioni che il suo linguaggio ha fatto emergere. Ed è giustissimo parlarne con entusiasmo.
Peccato che la stessa idea credo continui a sbattere contro una realtà diversa, quella in cui si evolvono in concreto certi discorsi della musica popolare e di cui i numeri delle classifiche musicali parlano.
È stata parte integrante del lungo ragionamento (lo trovi qui) con cui è iniziata questa newsletter, in concomitanza con la scomparsa di SOPHIE e lo scioglimento dei Daft Punk. E beh, per molte ragioni rimane valido e associabile anche a questo discorso.
Ne recupero un estratto:
«SOPHIE aveva rimesso la persona davanti alla macchina. Anzi: era lei stessa, la macchina. E la sua immagine, il suo personaggio, sono sempre partiti da domande, più che da certezze».
Mh. Suona familiare?
Intendo, è inevitabile che a quel campionato lì Alejandra Ghersi ci si è avvicinata sempre di più, nel tempo. Quale campionato: quello in cui ti trovi in studio a produrre Kanye West e il giorno dopo butti fuori singoli dalla durata di un’ora e due minuti. Per un solo brano. Bene.
Quindi adesso, magari, perché non proviamo a parlare di cosa c’è, oltre quello che sappiamo già (e che ci ripetiamo dal 2012—fanno dieci anni)?
Ahinoi, più si è affrettata questa corsa alla definizione della sua musica e del suo pianeta di idee, più l’artista—Arca è stata confinata in una stantìa retorica delle cose, avvilendo tutta la parte incerta, nuova (immaginateci attorno tante virgolette), che si stava spingendo fuori.
Una retorica che non le appartiene affatto, e che è incredibile quanto lei stessa stressi nelle numerose interviste, che poi all’esatto opposto finiscono con originalissimi titoli tipo “La Diva del Pop del Futuro: a tu per tu con Arca”.
Basti pensare che il Times di Londra ne parla ancora come qualcosa di nuovo, titolando «l’impavida cantante che lavora con Lady Gaga, Björk e Kanye West». Esatto, senza nemmeno menzionarla, nel titolo.
Ok, forse è ancora troppo poco?
Leggiamo allora la recensione di Pitchfork, a firma Philip Sherburne: ci vogliono, in un lungo pezzo per raccontare i quattro Kick usciti in sequenza tra Novembre e Dicembre, una sfilza infinita di nomi che possa aiutarci a semplificare i riferimenti della sua musica. Da Aphex Twin ad Harold Budd, dagli M83 a Oneohtrix Point Never, mappare i diversi stili che la Ghersi ha concentrato nei suoi ultimi cinque album è impresa ardua, senza alludere a cose generalmente più note. E la lista continuerebbe.
Non è che allora non stiamo davvero parlando di pop?
Danze della realtà
Beh comunque, se anche fosse, non sarebbe affatto un problema, no? Dipende, in primis dal vocabolario che ci siamo dati per spiegare questa cosa.
Alex Patridis, su The Guardian, dice giustamente: «Musica “pop” e “diretta” sono termini relativi nel mondo di Arca: neanche una nota di questi brani arriverebbe su una qualsiasi Today's Top Hits di Spotify. Anche se, così fosse, [le stesse] potrebbero diventare più interessanti. E il fatto che le incursioni di Arca nel pop arrivino mischiate in mezzo a un diluvio di materiale più atipico ci dice forse qualcosa, sul suo rapporto tormentato con il mainstream».1
Bingo: rapporto tormentato. Qui, finalmente, sembra che il problema venga preso di petto. E per citare La Danza della Realtà—tra le dichiarate ispirazioni per gli ultimi capitoli dell’artista Venezuelana—, sembra la scena in cui lo Jodorowsky anziano dice al sé stesso bambino: «Per te, io non esisto ancora. Per me, tu non esisti più».
Arca ha descritto l’universo—Kick come una storia autonoma fatta di intelligenza artificiale, di una donna che si libera da un uomo tecnocratico che potrebbe essere trans, non binaria, queer, ma che emerge dall’oppressione.
Come si traduce tutto questo in stelline di una recensione?
Ecco, in un certo senso, tutti e cinque i Kick sono un invito al festival del grande equivoco—ma non per colpa dell’artista. Piuttosto sembra che, come nell’iconografico poster sugli alieni di X-Files, siamo affascinati dall’ignoto giusto il tempo di farci l’abitudine, così poi possiamo pure memarci su.
Ché no, dopotutto agli alieni non ci crediamo veramente. E infatti sui social, per far vedere che ad Arca siamo davvero interessati, condividiamo le cose più accessibili, come i featuring con Björk e ROSALÍA.
L'ultimo bagliore
Del resto in Alien Inside, è lei a descrivere il suo mondo attraverso la voce di Shirley Ann Manson dei Garbage, e continua a farlo anche nell’ultimo Kick con quella di Ryuichi Sakamoto, in Sanctuary («una fede mutante / post-umana»).
E un po’ la sintesi di tutta questa storia, a pensarci bene, è proprio questa: il caos organizzato, l’estetica cyborg, le metafore cinematiche, le voci di altri che si intrecciano per comunicare la tua: ciascuno può vederci dentro ciò che vuole.
Un’esperienza simile a quella che descrive Sasha Frere-Jones, su 4Columns: «Un mese ad ascoltare i KiCks ha cambiato la mia percezione di come si muovono le canzoni. Arca non è generalmente interessata a pezzi che si risolvono come una hit da classifica. È impegnata a creare un caos utile […] dove la sovrabbondanza di beat ti fa sentire manipolato, palpato, un umano a galla sullo sforzo delle macchine. Sono i bunker costruiti a Arca, i poli dei suoi viaggi».2
Nelle parole della stessa Arca in un’intervista per Vogue México, poco prima dell’uscita degli album, avevamo persino un bugiardino per ascoltare con più attenzione:
«Ho immaginato che Kick avesse lo stesso arco narrativo di una festa, di un rave o del tempo per fare l'amore. C’è un inizio, l’energia si intensifica, c’è un climax e poi, dopo aver ottenuto quella liberazione, una quiete», diceva. «Se ti piace guardare l’ultimo bagliore, questo sarà quasi un modo per ottenere tutti i nutrienti giusti. Allora ti renderai conto di essere in grado di dare un senso alla catarsi, alla purificazione, alla liberazione di ciò che è appena accaduto»3.
E quindi alla fine quale sarebbe la verità? Abbiamo davvero ascoltato alla ricerca dell’ultimo bagliore o ci siamo fatti ancora una volta prendere la mano dalla tremenda fretta di voler definire le cose? E che idea di musica c’è, nei cinque Kick?
Non lo so, e forse non m’interessa saperlo.
Del resto, sono abbastanza sicuro che treoreseiminutiquarantottosecondi non sono bastati a farci rispondere con sincerità.
Ma probabilmente è (sempre stato) meglio così.
Se non metti L’Ultimo
Qui dentro ci sono cose e curiosità extra rispetto al topic della newsletter, a volte anche un po’ di fatti miei.
Oggi in versione short.
Burial ha imparato a raccontare il presente
Su Rolling Stone ho raccontato il nuovo Burial, Antidawn.
Un posto dove non ci sono i fantasmi dei rave passati e nemmeno un'idea di futuro: c'è un presente, il nostro, fatto di vuoto e solitudine.
A. Petridis, Arca: Kick ii, iii, iiii, iiiii review – a wild ride to the dark, daring side of pop, The Guardian, 2022.
S. Frere-Jones, Arca, 4Columns, 2022.
L. Hess, Arca reveals all about her new album and the musical frenzy it promises to be, Vogue México, 2022.