Mike Paradinas: «L'IDM è invecchiata male»
25 anni dopo "Lunatic Harness", μ-Ziq guarda avanti senza aggrapparsi al passato
È abbastanza difficile trovare una presentazione adatta per Mike Paradinas, artista e produttore che da oltre un ventennio è ponte tra due–tre galassie che hanno formato la cultura della musica elettronica, tra gli anni Novanta ad oggi.
Per lui parla un curriculum del tipo: mente dietro alcune delle seminali uscite della Rephlex Records di Aphex Twin (suo amico e collaboratore, negli anni, su diversi progetti), pioniere della cosiddetta drill’n’bass (che Simon Reynolds definì «jungle by non-junglists for non-junglists», nel suo Energy Flash) e Caronte dell’IDM prima maniera, un linguaggio che in quegli anni Novanta era l’eden della post–rave culture Britannica, ma da cui μ-Ziq, il principale (ma decisamente non l’unico) dei suoi moniker, si è col tempo progressivamente discostato.
Ma chi è Mike Paradinas, oggi? Per scoprirlo ho rotto le scatole (a dovere) al diretto interessato, durante un pomeriggio in cui—per i 25 anni e una speciale Anniversary Edition del suo Lunatic Harness, datato 1997 e cult da oltre centomila copie vendute—le interviste da sostenere erano parecchie.
L’ultima—prima di entrare in videochiamata con me—, mi racconta, con un giornalista della sua stessa età. Un tipo piuttosto ossessionato da retro–tecnologia, synth e club music di un tempo.
Allora, com’è andata?
Abbiamo parlato dei vecchi tempi, tipo la vita prima di internet e cose del genere. È stato piacevole, avevamo gli stessi riferimenti, ma a tratti anche straniante: ne ho fatta un’altra con un ragazzo molto più giovane, ieri, che ovviamente non sapeva neanche come fossero fatti gli anni Novanta. Figuriamoci gli Ottanta. Ho dovuto spiegargli un paio di cose [ride, ndr].
In particolare di cosa, della vita prima di internet?
Beh, prima di tutto del fatto che non poteva mancarci, come strumento, né ne saremmo assuefatti come un giovane lo sarebbe oggi: non esisteva, semplicemente. Poi di altro in generale, come del fatto che non era così scontato registrare con un computer—se non con uno che fosse molto costoso–, o di quando si mettevano le monetine per far partire il contatore elettrico.
Che periodo è stato, per te, quel decennio?
Direi che sto decisamente meglio ora, rispetto all’epoca, dato che attraversavo un momento piuttosto cupo, complice una brutta relazione. Dal punto di vista musicale, certo, era una fase di ispirazione pura, con tutta la musica che gli anni Novanta erano in grado di tirare fuori. E sì, il mondo per il resto è cambiato parecchio in peggio, a partire dalla politica. Ma ecco, oggi mi sento di stare in un posto migliore, felice di avere la mia etichetta come lavoro e tutto il resto. Toccando ferro…
E infatti a distanza di un po’ di tempo sei tornato ad essere piuttosto prolifico: quest’anno sono usciti l’EP Goodbye, l’album Magic Pony Ride e, soprattutto, il tuo disco più rappresentativo—Lunatic Harness—è stato celebrato con una anniversary edition per soffiare sulle sue 25 candeline. Insomma, che è successo?
La versione breve della risposta, credo, è che dopo qualche anno sono riuscito a scrivere musica che volevo veramente far uscire. Quella più dettagliata può essere il fatto abbia trovato improvvisa ispirazione dopo Scurlage, che produssi per Analogical Force nel 2020. In particolare il secondo brano, Preston Melodics, mi diede nuovamente l’idea che fossi capace a scrivere delle buone melodie, cosa che in qualche modo non mi aspettavo più.
Magic Pony Ride è forse il più significativo di questa tua “nuova fase”. Raccontavi fosse ispirato ad un particolare viaggio in Galles, giusto?
Ah, sì! Avevo cominciato a metterci le mani poco prima di passare un periodo estivo a Gower, ancora in lockdown, un posto in cui trovai un’insolita routine mattutina: preparavo la colazione ai miei due bambini, mentre mia moglie ancora dormiva, poi mi dedicavo alla musica. Stavo finendo di produrre proprio Scurlage, la maggior parte dei brani che scelse l’etichetta sono stati concepiti lì. Era roba che non reputavo del tutto adatta alla mia Planet Mu, quindi accettai la proposta di farli uscire per loro. Da lì insomma sono rientrato un po’ nel loop, cominciando a lavorare a Secret Garden con Hannah Davidson (Mrs Jynx) e successivamente sì, a Goodbye e Magic Pony Ride.
Non ha granché a che fare col 2020 e tutto quello che è successo—come si leggeva—, insomma.
No, quelle sono cose che scrivi per il comunicato stampa, si sa. È il ricordo di lunghe cavalcate all’alba con la mia famiglia, in sella a dei pony Islandesi (che effettivamente sono dei cavalli, ma vengono chiamati “pony” per via delle piccole dimensioni: me l’ha detto mia moglie, è esperta). Vedevi il sole sorgere da queste immense colline, quindi è musica legata a ricordi molto particolari. E ci sono diversi elementi che rappresentano quella quiete familiare: mia figlia canta su alcuni brani, in altri suona anche il violino. In Hello—che uscirà a Novembre—ho invece campionato degli schiamazzi di mio figlio.
E non si può dire non continui anche una tradizione di titoli piuttosto eccentrici, un marchio di fabbrica di casa Paradinas.
Ho un debole per le cose stupide e imbarazzanti, mi faceva molto ridere dargli quel genere di nome: immagina qualcuno che entra in un negozio di dischi e chiede «una cavalcata sui pony magici».
Mi sembra ci sia comunque qualcosa, si percepisce, che si lega a una nuova epifania: è come sentire un µ-Ziq abile a riscoprire nel futuro qualcosa del suo stesso passato.
Sì, un elemento di nostalgia c’è. Il working title di MPR in effetti era Lunatic Too, pensavo potesse essere una risposta più moderna e più jungle alla radice drum’n’bass del capitolo al quale è possibile legarlo. In più, nello stesso periodo stavo cominciando a rimasterizzare Lunatic Harness in vista dell’edizione speciale per i 25 anni, e riascoltarlo mi ha sicuramente portato indietro ad ispirazioni di quel tipo.
Del resto la press release dice che «è stato scritto come una sorta di seguito di Lunatic Harness, almeno in termini di genere e stile».
Sì, mi sembra una descrizione corretta. Ci avrò aggiunto delle cose più breakbeat e qualche richiamo alla prima ondata rave, qua e là (quella sì, una cosa nuova a livello di produzione, per me). Per il resto i fattori sono rimasti anche qui—come in Goodbye—qualcosa a metà tra la prima hardcore e un linguaggio vicino a quello dei The Black Dog, se dovessi trovarci dei rimandi.
25 anni di Lunatic Harness, dicevamo. Come lo descriveresti a qualcuno che lo ascolta per la prima volta?
Non ne ho idea. Forse drill’n’bass—fever dream, una definizione che gli diede all’epoca il mio addetto stampa. Credo possa ancora funzionare bene.
Capitolo che fece una discreta fotografa di quegli anni. Com’è stato riascoltarlo durante il processo di remastering?
Guarda, il problema di quel disco è che si trattava di musica prodotta in momenti molto diversi, che poi alla fine montai in un unico album. Quindi le demo originali avevano tutte una parte “giusta” del pezzo, ma capitava spesso che avessero una coda che avevo cambiato in corsa, e che magari ritrovavo nell'intro di un altro—o cose del genere. Non a caso avevo iniziato questo lavoro per il ventennale, ma ci ho messo altri tre–quattro anni per rimettere tutto in ordine. Un casino! Però direi che il suono alla fine è rimasto il più fedele possibile al primissimo master digitale, oltre che migliorato in alcuni aspetti.
Hai visto tutto con gli occhi di un Mike Paradinas diventato adulto che ricompone un puzzle del sé stesso giovane.
Sì, d’altra parte quando uscì ero poco più che un ragazzino, avevo 25–26 anni.
E vivevi ancora a Londra, tua città natale—non a Hove, dove poi ti sei trasferito con la famiglia—, un posto dove le cose succedevano (e succedono). Che ricordi hai di quella scena in quel momento? E come la vedi, adesso?
Onestamente sono uscito sempre abbastanza poco, e questo ha un po’ influenzato il mio “termometro culturale” della situazione. Però certo, senza dubbio è stata e continua ad essere importante, per chi lavora con la musica. Adesso, beh, è diventato un posto troppo caro, e questo credo abbia influito anche sul livello di cose interessanti che succedono, specie per quelle scene sotterranee—come le periferie ed i luoghi meno centrali e conosciuti.
Gli anni della cara vecchia IDM. Ne avrai sentito parlare.
Dai, l'IDM suona di merda ora, non è vero? A volte riascolto le mie vecchie cose, tipo In Pine Effect, e penso: «Che diavolo avevo in testa? Ma perché facevo uscire questa roba?». Ricordo anche di aver comprato il primo dei The Orb, così come Chill Out dei KLF: tutte cose che da lì a poco stancarono abbastanza presto. Credo che tra i pochi a salvarsi siano rimasti Aphex Twin ed i Black Dog, che suonano ancora abbastanza bene. Per il resto mi sento di dire che è un genere invecchiato piuttosto male.
Anni in cui anche la tua Planet Mu diventa realtà solida e (tuttora) rispettata, nel settore. Come stanno andando le cose?
Direi piuttosto bene, abbiamo una decina di release pronte—o quasi pronte—a essere pubblicate, molto dipende dai tempi di produzione dei vinili, come saprai. E da chi realizza il master finale più in fretta, semplicemente. In generale comunque c’è dentro un po’ di tutto, non sono solito firmare artisti che replichino necessariamente il mio stile o lo stile dell’etichetta: anzi. Ho sempre cercato novità, sorpresa.
A distanza di un trentennio dal tuo debutto sulle scene, dove pensi stia andando la musica elettronica, oggi?
Guarda, per prenderla un po’ alla larga ti dico che da qualche mese ho imparato ad apprezzare Miles Davis, pensa. Sarà che sto diventando vecchio, ma a parte qualche sua incursione più ritmica non avevo mai compreso appieno il valore di capolavori come Bitches Brew, per dire. E sì, insomma, mi aspetto lo stesso effetto da un genere che sono più abituato ad ascoltare, da cui ogni giorno vorrei prendere nuove cose.
Per quanto linguaggi come l’acid house di Chicago o la jungle, per dare due riferimenti specifici, rimangono intramontabili. E soprattutto sempre funzionali: è roba che non può non piacerti. Per tornare alla tua domanda, direi: da nessuna parte in particolare. Anche perché non mi piace prevedere le cose. Preferisco vedere cosa succede, farmi stupire.
💽 Lunatic Harness (25th Anniversary Edition) è disponibile su Planet Mu, insieme ai nuovi Magic Pony Ride, Goodbye e Hello.
📲 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑜 𝑟𝑒𝑝𝑒𝑟𝑡𝑜𝑟𝑖𝑜 𝑒𝑑𝑖𝑡𝑜𝑟𝑖𝑎𝑙𝑒 è un gruppo Telegram ideato da Fabio Brocato (alias Broke One) e Marco Caizzi (Pikkiomania dei Rainbow Island), dove settimanalmente vengono condivise decine di nuove release, si scopre nuova musica e se ne discute.
Se sei qui perché hanno condiviso questo articolo, è soprattutto perché sono delle certificate groupie di Mike Paradinas.
Se non metti L’Ultimo
Come sempre, qui dentro ci sono cose e curiosità extra rispetto al topic della newsletter.
Oggi in versione recappone: riascoltiamo, rileggiamo, famo un attimo a capisse.
⚫ Nella terra del rimorso
Nel suo ultimo album Rimorso, Mai Mai Mai affronta ancora la dimensione del tempo, ma stavolta tra neo–tradizione, oscurità folk ed etnomusicologia contemporanea.
Ovvero: l’ultima intervista pubblicata qui prima della pausa, che per qualche strano motivo non è arrivata a molti degli iscritti.
⚫ Italiani Brava Gente
Qui un succoso trittico di cose da segnalare, che è anche un assoluto italiani-brava-gente content alert.
No One Really Listen To Oscillators sarà probabilmente tra gli album più importanti dell’anno—se masticate elettronica di questo tipo, ma non solo—ed è il manifesto di una maturità ormai conclamata, per Pietro Iannuzzi. Indian Wells raramente sbaglia dei colpi, ma a questo giro le sue abilità sembrano arrivate ad un livello di linguaggio assolutamente preciso, distintivo. Che c’importa di Jon Hopkins se c’abbiamo Indian Wells, titola Soundwall. +1.
Sempre Italia, sempre elettronica un po’ di confine, Archivio Futuro è un progetto che sperimenta la dualità tra l’acustico e la sperimentazione, la musica organica e quella programmata. Il duo nasce dall’incontro tra Lorenzo BITW e Danilo Menna e cita tra i suoi riferimenti più importanti Carl Gustav Jung, le cui tematiche vengono toccate più volte nel corso dell’album, come nel singolo Deserto Giallo—che prende il la proprio da uno dei sogni più celebri raccontati da Jung—o in Occuparsi Dei Sogni, in cui vengono campionati frammenti di un suo discorso.
Tra le voci nostrane che hanno in serbo altre cose parecchio intriganti quest’anno c’è sicuramente Vera Di Lecce, cantante e produttrice pugliese—già in passato parte della band di Cesare Basile—e versatile performer che alterna pop sperimentale, chitarre elettriche, live looping e danze marziali. Il suo singolo Altar Of Love (firmato da Niafunken con la Manimal Vinyl di Warpaint, Bat for Lashes e Yoko Ono, per dire) è un rituale intriso di glitch melodici à-la Marina Herlop e spasmi di avant–pop agrodolce. In attesa del suo album, di imminente uscita, direi che c’è già del materiale interessante.
⚫ The Creator Has A Master Plan
O anche: un ultimo recappone, stavolta di cose successe, ascoltate, fatte.
👉 Ad 81 anni ci ha lasciato Pharoah Sanders, una leggenda su cui ci sarebbero pagine e pagine da scrivere. Quoi, intanto, puoi ascoltare un tributo di Gilles Peterson andato in onda su BBC. Qui, invece, tempo fa parlavo di Promises, sua collaborazione con Floating Points e anche incredibile successo del 2021, che rimarrà alla storia come l’ultimo disco realizzato dal sassofonista di Little Rock.
👉 Qualche settimana fa per Rolling Stone ho fatto una chiacchierata con Alina Pash, l’artista Ucraina che ha debuttato in Italia, ad Opera Festival, dopo aver dovuto rinunciare all’Eurovision a Torino lo scorso Maggio. Scopri qui che casino era successo, perché non c’è andata e tutto il resto.
👉 Natural Brown Prom Queen, Nymph, I Love You Jennifer B, Cry Sugar, rispettivamente di Sudan Archives, Shygirl, Jockstrap e Hudson Mohawke, sono alcune delle cose con cui sono in fissa al momento. Li hai ascoltati? Che dici?
👉 Mike Paradinas Reflects on 20+ Years of Planet Mu and μ-Ziq, una super feature (e intervista) di Joe Darling, uscita nel 2018 su Bandcamp Daily, per ripercorrere la storia di μ-Ziq e di Planet Mu.