«La musica dance è matura, forse anche vecchia, ma invece di rimescolarsi e provare declinazioni alternative con i suoni che ha a disposizione gioca ad autocitarsi, di continuo. E per uno come me, producer e DJ, è spesso una cosa avvilente. Non credo questo disco dica qualcosa di nuovo, ma almeno prova a non guardare indietro: va di lato».
In The Middle è un vademecum per entrare nel club da un punto di vista obliquo e indagatore, e non solo per gli strani tempi che caratterizzano la stretta attualità. È un viaggio di migrazioni e di suoni intorno al Mediterraneo che parte nelle intenzioni dalla semplicità di un abbraccio, uno ‘ncopp’a n’ato.
Soprattutto, è una celebrazione della bellezza del movimento per lo scambio di emozioni e culture, quella fatta di una diversità ed inclusività auspicata ma eufemisticamente difficile. Spesso anche nella musica.
E che si chiede perché—specie nella cultura dance—non si possa diventare più aperti e globalizzati, rispecchiando le dinamiche socio-culturali del nostro mondo. «Il modo in cui si parla e si fa musica oggi ha una strana miopia per l’evoluzione reale delle cose, confina posti che non siano UK, Francia, Germania e USA ad un gusto esotico, fatta di domande tipo “chissà come suona tutta la musica che non definiamo il nostro standard comune”. Anche in Libano fanno la trap tamarra come ad Atlanta, ma la cantano in Arabo: non puoi pensare la musica si sia fermata».
Di fatto, è un lavoro che serve a ricordarsi di raccontare come ballo, corpo e cultura inclusiva facciano il bene anche della musica del futuro, pur con tutti i limiti del caso: «Che poi, l’ultima vera rivoluzione nella musica elettronica è stato l’auto-tune, che rispecchia un po’ la storia di altre innovazioni anche casuali, di manopole girate per sbaglio che poi sono diventate un fondamentale, come la TB-303».
Ho fatto due chiacchiere con Bawrut per farmi raccontare posti, persone, storie e visioni che ha voluto legare al suo LP di debutto, in un percorso track by track.
Da questo momento in poi il racconto è affidato alla voce di Bawrut, per cui vedrete scomparire ogni virgolettato.
In breve
Hai presente quella fase della tua vita in cui vedi tutto più nuovo, in cui sembra le cose ti colpiscono con più profondità? Senza fare un confronto tra Burial e Daft Punk, come influenze, io da adepto totale dei Francesi vado spesso a riascoltare Discovery, che insieme a Homework ha sostanzialmente formato la mia musica. Ma non per citare o rimettere in circolo le stesse idee: più vengo attirato da quegli ascolti e da come mi erano esplosi in faccia, più riesco a farmi ispirare nel cercare qualcosa di nuovo da creare, da quella cultura di quindici-venti anni fa.
Intro
Ho iniziato il disco con dei field recordings registrati ad un festival Spagnolo, che ho scoperto su VICE e che fanno in Castiglia-La Mancia, il Viñatek. Avevo letto questo articolo in cui il fotografo (che è stato lì per un paio di stagioni) raccontava nel dettaglio l’esperienza. L’idea che mi ero fatto prima di scoprirlo era si trattasse di un revival spagnolo dei rave inglesi anni Novanta: niente di più diverso.
Qui era più una celebrazione della Spagna, di quella parte di Spagna in particolare, in una versione “tek,” proprio con la k. Cani di nome Keta o Riga, caravan, musica a volumi insostenibili e gente che si diverte. Niente a che vedere con una versione più classica e se vuoi romantica del rave, quella più tesa a un tutt’uno con la musica.
Un altro elemento è campionato da un video su Instagram dell’Houghton Festival, quello curato da Carig Richards. Senti brusio di gente e lo skit di una cassa in lontananza in mezzo ai boschi, come entrare nel luogo di un rave e sentire la musica un po’ ovattata, da lontano. Per me era dire a chi ascolta che sì, sei in un posto familiare ma non veramente nel solito posto: è una metafora che descrive gli stilemi concettuali del disco.
Sol en la Cara feat. Chico Blanco
Ha un mood dilatato, con una prima parte fatta solo di pad, melodie stratificate e abbastanza smielate, prima che entri la cassa, in un secondo momento, a cambiare la trama. Volevo fare qualcosa che ricordasse lo stile e le influenze di Chico Blanco, più che le mie, che è giovane ed è preso bene per le cose two-step con evoluzioni contemporanee.
Nonostante sia Spagnolo—e per la maggiore canta anche Spagnolo, sulla sua musica—ha molto a che fare col mondo rave e quasi trance di nuove derive est europee e americane, come LSDXOXO e VTSS. Mi piaceva si mescolassero le mie idee con questi mondi, hanno visioni molto estreme ma sicuramente moderne dell’elettronica.
de Amor De Dios a Candela
Una delle maggiori influenze di questo pezzo è stata Township Funk di DJ Mujava, un incontro tra Londra e l’Africa, che era un tributo ai classici di LFO e Forgemasters, tra l'energia viscerale che hanno quelle uscite seminali del post-rave britannico e i colori, ancora una volta, di una cultura più Mediterranea. Mi ha ricordato un viaggio a Londra, quando il pezzo esplose. Anche qui volevo usare dei pattern flamenchi, ma mi piaceva l’idea di andare ancora più in fondo verso l’Africa, riprendendo quell’idea.
Ricordo di aver letto questo articolo, tempo fa, in cui si parlava di tutto il mistero scatenato sulla sua figura: anche in quel caso il racconto di lato delle cose mi aveva colpito. Era un esempio di musica da ballo nella sua forma più primordiale, perché nasce dalla variante house Kwaito, in Sudafrica, uno stile indigeno delle township sudafricane di Pretoria. Anche qui la chiave è la contaminazione, e se de Amor De Dios A Candela parla della Spagna lo fa sicuramente con la mente ad altri luoghi.
Eurocasbah feat. Cosmo
Ha avuto un processo molto curioso, perché quando ho finito una prima struttura dei brani avevo passato a Marco (Cosmo, ndr) un po’ di demo che poi sarebbero per buona parte diventati il disco. Alla fine lui era andato totalmente in fissa con questa, così ha cominciato a scriverci sopra la sua parte.
Si basa su un ritmo arabo, ma è quasi più un remix, perché partendo da un sample abbiamo poi trovato con lui una quadra per rendere il brano una sintesi club, più dilatata ma non troppo pop. Difatti rimane perfettamente a metà, come il racconto dietro il testo: parla di unire le proprie origini in una lingua e un luogo comune.
Alfredo and Ricardo brought me here
Volevo fare una traccia senza cassa, qualcosa che facesse ballare su un dancefloor in maniera diversa. Alfredo Fiorito era famoso per aver suonato Entre dos Aguas di Paco de Lucia nei suoi leggendari set all'Amnesia e questa è stata ispirazione e tributo per il brano. Villalobos è stato un altro esempio da seguire e a cui rendere omaggio: le sue produzioni anarchiche e di un club a ruota libera hanno plasmato il mio approccio al fare musica.
In generale, poi, l'isola bianca ha una storia molto interessante da raccontare, ben oltre i suoi club e lo stile di vita edonistico: in passato Ibiza è stata l'esempio del crogiolo Mediterraneo di culture ed esperienze, in modo pacifico.
11:11 AM
Non so se dire il pezzo “ambient” del disco, ma deriva da un periodo in cui ascoltavo molto Oneohtrix Point Never e cose affini. Come ricordo mi porta sicuramente all’inizio della pandemia, ci sono dentro field recordings del mio barrio a Madrid e alcuni echi di quel momento, dilatato tra enfasi ed incertezza.
Out of the Blue
Ho letto tanto Kurt Vonnegut, durante la pandemia. Mi faceva morir dal ridere, specie quando parlava dei discorsi di fine anno che teneva nelle scuole. C’era questa parte in cui si diceva ateo e raccontava per filo e per segno i motivi per cui non volesse avere un funerale, una volta morto, ma dava invece al valore della musica la prova dell’esistenza di Dio—o di un possibile Dio: voleva ci fosse scritto così sulla tomba.
Il pezzo in sé poi è una sintesi di quell’assenza di luce che si combina a un’improvvisa accelerazione del ritmo, l’esperienza di abisso e superficie che raccontano un’altra parte più laterale di vivere il club.
في السماء (Fe Samaa) feat. Glitter٥٥
Doveva essere Róisín Murphy a cantarlo, mi sembrava una voce anglosassone con un gran vincolo con Ibiza e il Mediterraneo. I ragazzi di Ransom Note avevano contatti con il manager, ma lei purtroppo stava per far uscire Murphy's Law ed era impegnata con il suo disco. In compenso, si è concretizzata l’idea di farla cantare da una artista di lingua araba, anche per andare al di là di questa idea eurocentrica che si ha di quel Mediterraneo che racconta.
Glitter ha aggiunto voci che parlano di movimento ed emigrazione, la speranza dell'ottimismo e la delusione, quella della realtà delle cose. Il risultato, specie nel testo, è ugualmente quello che speravo uscisse fuori: dove nasciamo è spesso la cosa più importante per avere una vita che possa essere considerata decente.
Tisno Memoriæ
Sono contento perché qui sono riuscito a usare un sample sconosciuto, per di più di un pezzo che fa pure schifo. Cioè, io sono cresciuto con il rap east coast, uno spaccato in cui si faceva scuola del sampling perché a fine anni Ottanta, dopo che avevi campionato il disco del papà o della nonna, che era quello che ti trovavi in casa, c’è stato un momento in cui si faceva a gara a chi campionava quello più sconosciuto possibile. Praticamente l’origine dell’arte del (e dei) Diggin' in the Crates.
Kanye West per esempio mi fa ridere: siamo tutti buoni a campionare Curtis Mayfield o i Daft Punk, è normale il pezzo venga una bomba. Per me la cosa bella è quando il sample diventa talmente irriconoscibile che non riflette più il pezzo originale, ha preso vita propria.
JE ‘O TTENG E T’O DDÒNG feat. LIBERATO
È stato l’ultimo pezzo prima di chiudere l’album, perché ci sono stati dei ping-pong infiniti prima di arrivare alla versione definitiva. Credo si senta—cambia la sua natura almeno tre o quattro volte. Ed è essenzialmente un ritratto di Napoli: quando vai lì è una giostra, proprio come i cambi e gli incroci tra voce e strumentale di questo brano. Simile al luogo e agli intrecci che racconta si porta dietro le immagini di chi torna da lì, che sia da Marrakech o da Copenaghen, tra voci, strade e persone che ti rimangono inevitabilmente in testa. E l’effetto che percepisci è che è tutto davvero tanto.
Quindi è un pezzo club, sì, ma è bello denso di riferimenti e storie, è colorato, vivo. Il compromesso, perché io volevo che ogni tanto la base saltasse fuori a respirare, è stato mediare con alcune derive di LIBERATO: hai presente quando prima del bridge senti «uè, uè, uè, uè, uè, uè! lassa ‘stu cascione!1»? È pitchato e compresso in pochi secondi, ma quella cosa lì è estrapolata da un’altra lunga parte vocale in cui lui aveva immaginato di sbraitare contro di me, per far continuare la cassa sul vocale, senza sosta. Mi terrò tutto da parte, comunque, sicuramente ci farò degli edit più lunghi del pezzo.
Crossing for a Golden Blanket
Nell’immaginario—così come nel suono—è un tributo alla seconda ondata techno di Detroit: si tratta di un omaggio all’eredità di James Stinson, scomparso prematuramente a trentadue anni, che proprio dalla storia di Drexciya aveva ereditato il moniker, nello storico progetto insieme a Gerald Donald. È il suono di un viaggio insicuro, la storia di un difficile equilibrio tra terra deserta, uomini soli e mare in piena, con dei loop scuri che prolungano quel senso di irrequietezza emotiva.
Non credo che quello che ho fatto in questo disco diventerà uno standard, perché vedresti uscire fuori robe più matte, che rischiano, che reinventano più spesso. Puoi dire sia un “approccio world music”, ma lo è ovviamente in una forma contemporanea—non di certo quello originario di Peter Gabriel.
Il music biz, di contro, ha bisogno di certezze, miti e capisaldi, anche concettuali.
Ed a me va bene così.
In The Middle è fuori su Ransom Note Records, ed il 5% dei profitti sarà devoluto a Open Arms, organizzazione dedicata a proteggere coloro che cercano di raggiungere l’Europa via mare, fuggendo da conflitti armati, persecuzioni e povertà.
Se vuoi ascoltare Borut che ti spega le origini del Flamenco in 57 secondi, clicca qui.
Se non metti L’Ultimo
Qui dentro ci sono cose e curiosità extra rispetto al topic della newsletter, a volte anche un po’ di fatti miei.
Papà ha cento synth
My Daddy Has 100 Synths è un libro per bambini di Billy Cardigan che documenta la relazione tra un padre ossessionato dai synth e suo figlio. Cardigan, metà del duo Shy Boyz, ha già all’attivo My Daddy Has 100 Pedals e Obtuse Chambers, raccolte di storie brevi su pedali e chitarre.
Esce il 22 Novembre e ha dentro cose di questo tipo.
KID A MNESIA fa cose
Da quando è uscita la ristampa che unisce i due celeberrimi album dei Radiohead, sono saltate fuori cose piuttosto interessanti che ancora, incredibilmente, raccontano di questo (/questi) dischi con visioni nuove e trasversali.
Ad esempio questo pezzo di Paolo Plinio Albera alias Myspiace su quale fosse (davvero) il vero Kid A Mnesia e questo pezzo di Andy Beta, su Bandcamp Daily, che ripercorre le influenze sonico–culturali di Kid A.
In più, The Jazz Cafe a Camden gli dedicherà una speciale rivisitazione dal vivo, il 30 Novembre: la band del pianista jazz e compositore Rick Simpson eseguirà il concerto–tributo Radiohead's Kid A: Revisited – 20th Anniversary.
Se sei da queste parti, biglietti qui.