𝘴𝘬𝘪𝘵: Francesca Heart e il viaggio tra miti e ninfe
Ciao, questa è la prima di skit, ovvero una versione più snella della newsletter che parla di un tema specifico, di una release o che ha dentro un’intervista.
Come questa—per iniziare—a Francesca Heart, artista Italiana al suo secondo album, uscito qualche mese fa su Leaving Records: EURYBIA è descritto come una serie di proiezioni immaginarie intime e di impegni sonori, nel racconto che si muove tra diversi siti geografici sparsi nel paesaggio Italiano. È un tappeto sonoro soffice che parla di viaggi e pellegrinaggi personali, tra significati extramondani e mistici, di bellezza nuda tra Calvino, Enya e Suzanne Ciani.
Insomma, on y va!
EURYBIA è un lavoro costruito nell’arco di due anni, una mappa mitografica realizzata tra la Calabria, Roma e Napoli—e poi nella Tuscia e ad Assisi—tra le mete di un viaggio che hai definito «tra le lenti del fantastico». Un periodo in cui le distanze da rapporti e connessioni umane sono diventate bizzarra realtà, ed in cui la mancanza di percezione visiva e concreta dei rapporti ha stimolato l’immaginazione: quanto c’è di reale e umano e quanto di utopico e mistico, nell’anima di questo disco?
Direi entrambi. Ho lavorato al disco nelle estati del 2020 e del 2021, quando le misure di sicurezza erano smorzate e si poteva viaggiare solo entro i confini. I momenti di intimità e vulnerabilità condivisi durante i viaggi che tu citi hanno influenzato il processo impregnandolo di dolcezza, e spesso accadevano su un fiume, vicino a una cascata o ai piedi di una fontana.
La figura centrale che lo abita è quella della ninfa, in particolare quella legata alle acque. Le ninfe vengono solitamente ritratte come bellezze giovani e vergini dal Male Gaze. Esplorando questo archetipo attraverso la musica ho provato a uscirne e dare alle protettrici delle acque un ruolo che si autodeterminasse, rendendole protagoniste.
La giocosità del suono che caratterizza EURYBIA è un tentativo di emancipazione attraverso il piacere, ed è sicuramente influenzata anche dal mezzo di produzione, il game sampling: salti, tuffi, incantesimi e vortici di energia. Emancipazione per me significa poter contemplare nuovi spazi di possibilità, porsi meno limiti, soprattutto mentali. Il suono è uno strumento di libertà e spazialità immaginative.
Calvino, Le Città Invisibili
Nel sole brillano i fili d’acqua sventagliati dalle docce, i getti dei rubinetti, gli zampilli, gli schizzi, la schiuma delle spugne. La spiegazione a cui sono arrivato è questa: dei corsi d’acqua incanalati nelle tubature d’Armilla sono rimaste padrone ninfe e naiadi. Abituate a risalire le vene sotterranee, è stato loro facile inoltrarsi nel nuovo regno acquatico, sgorgare da fonti moltiplicate, trovare nuovi specchi, nuovi giochi, nuovi modi di godere dell’acqua. Può darsi che la loro invasione abbia scacciato gli uomini, o può darsi che Armilla sia stata costruita dagli uomini come un dono votivo per ingraziarsi le ninfe offese per la manomissione delle acque. Comunque, adesso sembrano contente, queste donnine: al mattino si sentono cantare.
Perciò ho immaginato una mappa che tracciasse un paesaggio di fantasia. Tra i luoghi che ho visitato, ce ne sono alcuni la cui aura è viva e presente nonostante la loro natura archeologica, come il Ninfeo di Villa Giulia a Roma. Altri invece, come il paese dei miei genitori in Calabria, necessitano di un ascolto più approfondito perché la bellezza si nasconde dietro un’apparente decadenza architettonica e dei valori. Il Ninfeo aveva già ispirato la traccia centrale del disco precedente, è un luogo sacro ma con una connotazione di festa, di riposo e di sollievo dal calore asfissiante estivo. L’ho vissuto come una sorta di portale dell’immaginazione e dell’inconscio. Con EURYBIA ho quindi approfondito il lavoro intrapreso con Ianassa (2020), anch’esso popolata da ninfe.
Alcune tappe del viaggio sono meno mistiche. Ad Assisi ad esempio ero piena di buoni propositi, ma quando cerchi troppo non trovi nulla, bisogna lasciarsi sorprendere dalle cose. Il ricordo più divertente di quei giorni è una sera a mangiare patatine fritte sul letto della mia stanza d’albergo e a spacchettare souvenir kitsch cattolici. Dopotutto, la chiesa è la regina del merch.
Il tuo progetto accosta il luogo fisico ad un posto mentale, come quando parli della bellezza nuda di cui ti sei vestita duranti i percorsi che ne hanno ispirato il processo. Come hai immaginato l’ingresso (tramite l’ascolto) verso questa forte sensazione?
Come un tuffo in cui il corpo si spoglia dei suoi significati terreni e torna ad essere acquatico e flessibile.
Corpo, danza e movimento sembrano essere elementi sostanziali del tuo credo artistico, finora: quanto conta nella musica di oggi integrare un equilibrio di idee e linguaggi così versatile? E cosa può portare una simile commistione nella musica di domani?
Il mio percorso con la musica è iniziato molti anni dopo quello con la danza. Stavo lavorando alle prove di una performance ma mi feci male a un piede (fu la puntura di un ragno, non un infortunio!). Nell’approccio somatico al movimento raramente ci si fa male, c’è un’attenzione particolare a seguire la naturalezza del corpo piuttosto che lo sforzo atletico, quindi passai al synth perché non riuscivo a muovermi. Credo che oggi la commistione di linguaggi sia inevitabile, l’immaginario costruito da un album può diventare visibile grazie ad un’installazione o una performance multimediale. La danza si nutre di suoni assurdi e strani da molto tempo, non mi sembra cosa nuova.
Ci sono tante realtà che stanno facendo cose interessanti, è solo molto difficile muoversi in questi ambienti perché non c’è abbastanza sostegno da parte della cultura, soprattutto in Italia, e a volte può essere davvero frustrante. Si tende a sottovalutare il lavoro con il corpo e il processo creativo, perché richiedono un sacco di energia, presenza e ritmi che non seguono la linearità produttiva capitalista. Non posso parlare a nome della musica di domani in generale, ma personalmente mi piacerebbe fare più cose di musica per progetti di danza e viceversa. Anche lavorare al di fuori dei circuiti prestabiliti, come per le Olimpiadi.
La loquacità della digitalizzazione è la base armonica delle tue acustiche, ma sembri al tempo stesso molto legata agli aspetti più trascendentali e mitologici. È una tua personale forza creatrice o un concentrato di varie influenze sonore che hanno forgiato il progetto?
Mitologia, femminismo e digitale sono i miei interessi principali da tanto tempo. Quando in università scoprì Mary Wigman, il corpo diventò l’elemento centrale, il collante. Credo che prima di tutto la mia musica sia il prodotto di queste ricerche, poi ci sono varie influenze e ispirazioni, anche dalla cultura pop: per questo disco ho usato parecchi suoni di Sailor Moon.
Presente e futuro: quali sono gli artisti che ti hanno dato di più (e quelli che lo stanno facendo oggi), a livello di logiche e idee di musica?
Le mie eroine musicali sono Enya, Souzanne Doucet e Kay Gardner. Poi al momento mi piacciono molto anche Orphan Fairytale, Strawberry Switchblade, Wally Badarou, Suzanne Ciani, Caterina Barbieri, Walter Maioli, i compositori di musiche dei videogiochi anni Novanta e di colonne sonore di film americani per ragazzi anni Ottanta, quelli in cui il protagonista monta sulla bici per andare a incontrare un delfino e la loro amicizia lo aiuta a navigare le difficoltà dell’adolescenza.
L’intervista è stata curata insieme a Giulia Massara.
Le foto sono di Matteo Strocchia e Marco Servina.
EURYBIA è disponibile su Leaving Records.