skit è una versione più breve della newsletter, oggi dedicata al ricordo di un’artista che ci lasciava a soli trentacinque anni, il 30 Gennaio 2021.
Due anni dopo la sua scomparsa, parlare della—seppur breve, purtroppo—eredità lasciata da SOPHIE è materia quanto mai attuale per osservare ancora più da vicino cosa succede nella musica elettronica che ascoltiamo. Ed è probabilmente anche un nervo scoperto, per tutta una serie di artisti che in quella specifica nicchia cercano di portare innovazione—pur riuscendoci ancora solo parzialmente, se pensiamo a quanto si immaginava stesse per arrivare con le idee della funambolica artista di Glasgow. Lo è (stata), a conti fatti, anche per i campionati milionari della musica contemporanea: da Madonna a Rihanna passando per Vince Staples, la sua follia creatrice aveva raggiunto le orecchie di chi fa le classifiche a livelli altissimi. Di nuovo, di quanto potessero portare le sua incursioni da quelle parti potremmo purtroppo saperne ormai poco di più.
E proprio nelle parole di Staples, in un commiato uscito su Rolling Stone US, c’era tutta la natura che sprigionava: «Non ha mai avuto paura di essere quel che è, di dire quel che voleva, di suonare quel che le pareva. Mai. Questa è la cosa più importante: mai avere paura. Produttori, musicisti, trans, gente d’ogni tipo, non importa chi voi siate, non m’interessa, c’è sempre qualcosa da imparare. Mai avere paura. Qualunque cosa accadesse, non ho mai visto Sophie impaurita.».
Più che rendere nuovamente nuovo il tema sulla musica elettronica di domani, infatti, Sophie Xeon aveva scardinato le bolle del discorso sulla terra di mezzo tra la pista e la radio, ovvero ciò che a quel punto era diventato persino cliché, ma non andava mai alla superficie delle cose, non interessava “alla massa”. O comunque non interessava mai sul serio.
Come scriveva Shawn Reynaldo sulla sua newsletter First Floor, qualche giorno dopo la tragica scomparsa della Scozzese, «piuttosto che aspettare il futuro, è andata avanti e ha iniziato a costruirlo. Ora che non c'è più, possiamo solo immaginare come sarebbe stato, quel futuro, ed è terribile sapere che non avremo mai la possibilità di vederlo. C'è una cosa di cui sono sicuro, però: avrebbe sollevato un sacco di domande interessanti».
Del resto, nel 2019, il suo debutto OIL OF EVERY PEARL'S UN-INSIDES otteneva una nomination ai Grammys pur essendo un frullato di metafore estetiche e concettuali dai tratti sempre oltre, di paradossi asfissianti di suono, di un linguaggio meta-alieno: un viaggio tra il piacere e il dolore, anthem del suo concetto di avant–persona. E al contrario di molti discorsi critico-musicali di cui è stata protagonista non raccontava (davvero) nulla di pop, né aveva bisogno di citarlo per acciuffare il successo.
Aveva rimesso la persona davanti alla macchina. Anzi: era lei stessa, la macchina. E la sua immagine, il suo personaggio, sono sempre partiti da domande, più che da certezze. Soprattutto: non aveva alcuna nostalgia del passato. Ovvero tutto ciò che a quel punto era indispensabile per provare a capire davvero, cosa ci fosse oltre il già conosciuto.
Purtroppo, il suo contributo non avrà un seguito materiale, ma le sue idee resteranno parte di un importantissimo invito ad osare (e osare davvero).
Senza aspettare il futuro.