Mira Calix, anima esploratrice
Nel rendere l'arte sonora trama aperta e mai banale, Chantal Passamonte ci ha ricordato a cosa serve la scoperta
In una lunga (e bellissima) intervista su The Quietus nel 2012, Jude Rogers rivolgeva ammirata le sue domande a Mira Calix, a proposito di Nothing Is Set In Stone, un’installazione—e insieme happening—musicale ambientata a Redbridge, nella periferia di Londra, tra il verde sterminato e l’imponenza di una scultura in piedi, una roccia striata conosciuta come Angel Stone.
Nella chiacchierata emergeva chiaramente la dedizione della Calix per creare per stupirsi ancor prima che per stupire gli altri, un tassello fondamentale nella sua eterna associazione alla scoperta, dal campo del suono a qualsivoglia puzzle comunicativo dell’essere umano.
Il suo primo lavoro di intersezione tra più mondi di fatto risaliva già a una decina d’anni prima: una versione orchestrale di NuNu, suo brano ambient che ha a lungo portato in giro in tour con la London Sinfonietta, commissionato dal Museo di Storia Naturale di Ginevra e poi debuttato al Royal Festival Hall, nel 2003. Da Durban in Sud Africa a Londra, da 4AD a Warp Records, la strada di Chantal Francesca Passamonte non ha mai avuto a che fare col banale.
L’arrangiamento orchestrale curato per l’occasione era composto da un quartetto d'archi, clarinetto, clarinetto basso, strumenti elettronici e insetti. Sì, insetti (tra cui cicale, scarafaggi, grilli e scarabei), il cui suono veniva amplificato da un barattolo, altre volte registrato e integrato nello stesso arrangiamento.
JR: «Ma c'è questa idea che l'arte contemporanea sia accettata dal grande pubblico, mentre la musica contemporanea no. Il libro di David Stubbs - Fear Of Music: Why People Get Rothko But Don't Get Stockhausen - ad esempio, è qualcosa che volevo leggere da un po'...».
MC: «Non l'ho letto nemmeno io! Ma è strano quanto sia vero, no? E beh, non dovrebbe essere vero. Odio l'idea che la gente abbia bisogno di essere imboccata in tutto, come quando le case di produzione americane rifanno i film perché la gente non può affrontare i sottotitoli. Quello che voglio fare è rimuovere la barriera che dice “questo non lo capisco”. Forse non sono molto concisa, ma quello che sto dicendo è che la gente deve capire che può gestire le cose strane in modo appropriato».1
Nothing is Set In Stone, dicevamo.
Mai metafore più azzeccata, per descrivere la sua visionarietà oltre (e dentro) ogni manifestazione creativa.
E poi, ironicamente, l’idea dietro il progetto Secrets: Hidden London era quella di portare le persone in luoghi che normalmente non visiterebbe, o che addirittura, nel caso di una metropoli, ignorerebbe pure l’esistenza. Suona dannatamente familiare al suo tragitto: quei luoghi sono anche i suoni e le performance fuori da ogni genere, il contesto immaginario di Mira Calix fatto e finito. Il suo yard.
«Anche se la composizione della Calix è concepita come un vero e proprio pezzo di musica, passaggi frammentari suoneranno dall'interno della scultura quando attivati da sensori, in modo che una persona che si avvicina non sarà in grado di sentire il pezzo nella sua interezza», recitava la presentazione del progetto. «L’obiettivo è quello di essere grado di costruire la partitura completa solo quando i diversi elementi melodici sono raccolti insieme, mentre ci si muove intorno».
Ironicamente, perché l’esperimento le fu commissionata dall’allora sindaco di Londra Boris Johnson, all’interno del programma per le Olimpiadi della Cultura 2012, ma è in tutto e per tutto ciò che la carriera di Chantal Passamonte racconta: esplorare i confini umani attraverso il suono, farlo attraverso qualsiasi mezzo e farlo con gioia di capire quanto lontano può andare. Senza tirarsi mai indietro in termini di creatività e di audacia, di sentimento crudo, forte e viscerale per la passione.
Del resto, la stessa scultura fu realizzata dopo attenti studi con i mineralogisti del Museo di Storia Naturale, cercando un modo per spingere il suono attraverso la roccia: l’esaltazione della sorpresa, la cucitura dell’evento fisico della musica come una sartoria del suono.
Non è difficile pensare che solo una mente passionale, generosa e così umana nei confronti dell’arte possa aver progettato tutto questo, per il bene della conoscenza altra ancora prima che per uno stimolo di carriera, un obiettivo di vita. E in perfetta osmosi con la sua arte, Mira abbracciava tutte le possibilità che quel cosmo di energie le restituiva, dalle installazioni sonore alle soundtrack, dalle più classiche partiture alla scultura, così come i suoi importanti capitoli in studio, in solo e tra collaborazioni dei più svariati tipi.
«L’identità è “il termine del decennio”, e penso che in a̶b̶s̶e̶n̶t̶ origin giochi un ruolo enorme. Il titolo è un riferimento al collage, a come gli elementi di un medium perdano la loro origine in questo nuovo contesto, sia esso audio o visivo».2
L’assenza dell’origine.
Ancora una volta, poche parole per recitare ad alta voce una carta d’identità.
Pane e Warp fin da giovanissima, prima come fan, poi come collaboratrice e infine come producer, già dalla fine degli esuberanti anni Novanta, tra l’esplosione dei Boards of Canada e Squarepusher, la baldanzosa legacy di Aphex Twin, il dominio sotterraneo degli Autechre. Insomma, scordati di competere con quei mostri lì, se non sei abbastanza folle e innamorato delle tue idee—prima ancora che convinto gli altri ci possano diventare, innamorati di quelle idee. E invece, ancora più che la fama verso i lidi dell’alta elettronica che diventava grande anche fuori dal club, per Mira la vera arte consisteva nel cambiamento.
«Al centro dell’opera c’è la disintegrazione, il cambiamento, impercettibile e graduale o vistoso e veloce. Qualcosa che affascina Calix, forse perché vive vicino al mare, dove le maree hanno scolpito le scogliere nel corso dei millenni», raccontava Clarissa Sebag-Montefiore, che per lo stesso progetto la intervistava nel 2012 su The Guardian. «Tutto ciò che c’è in quest’opera ricostruisce una storia. Io invece volevo anche un oggetto che potesse distruggere una storia. Sembro di nuovo una pazza [ride, ndr]», rispondeva lei.
Che aveva girato il mondo con i Radiohead, calcato i palchi di Glastonbury, Coachella e Sónar, suonato per la Royal Shakespeare Company e la Royal Liverpool Philharmonic, ma si rivelava (ancora) anima esploratrice di fronte a ogni dettaglio, stupita dal più impercettibile crescendo emotivo che potesse portare altrove la sua ricerca.
Mira Calix se n’è andata lo scorso 28 Marzo, a 52 anni.
Ma tutto quello che ha fatto per l’arte e per la scoperta—e non solo per quella sonora—rimarrà con noi.
Ricordiamocene e ricordiamola, il più possibile.
J. Rodgers, Mira Calix Interviewed: Stones Are Where The Heart Is, The Quietus, 2012.
Fifteen Questions: Interview with Mira Calix, Fifteen Questions, 2021.